La Storia


Le Origini

C ese, come paese, sembra sia nato dall'esigenza di alcuni pastori e contadini che, dopo vicissitudini di varia natura, pare abbiano abbandonato capanne, baracche e casolari disseminati nei "Piani Palentini" per aggregarsi in un unico agglomerato abitativo. Questo, nel tempo, si è consolidato intorno all'abbazia che i benedettini avevano edificato ristrutturando un tempio pagano, dopo aver lasciato il monastero che occupavano su Monte Cimarani. Questi fattori, oltre all'esigenza di difendersi dalle scorrerie di briganti e predatori che imperversavano nella zona, fece sì che il primo nucleo abitato fosse quello comunemente chiamato "Mandre" (dimora di pastori e di bestiame), nei cui pressi i benedettini avevano eretto il nuovo monastero.
Queste ed altre costruzioni edificate intorno al tempio (situato pressappoco dove è ora la chiesa), dettero vita a Cese, che sembra faccia derivare il proprio nome dal taglio di piante (dal latino caedere=tagliare) ordinato dall'imperatore Claudio (41-54 d. C.), al quale occorreva legname per l'opera di prosciugamento del Fucino.
Il primo documento storico su Cese è rintracciabile nella “Chronicon monasterii casinensis” di Leone Marsicano. Nel documento si legge che nell’anno 774 d. C. il Duca di Spoleto Ildebrando concesse ai benedettini le terre che andavano da Paterno al “Gualdo Cesano”.

 

Dal Mille All'Urbanizzazione

I n seguito alla Battaglia dei Piani Palentini del 1268, Cese dovette subire la "vendetta" di Carlo D'Angiò ed il saccheggio del suo esercito; rimase dunque fortemente danneggiata e la sua popolazione fu ridotta a poche famiglie superstiti. Ancora una volta il motivo ispiratore della “rinascenza” cesense fu stimolato intorno alla vecchia chiesa benedettina di Santa Maria. Il paese rifiorì presto.
Nel 1294, Celestino V assegnò con una bolla di favore la chiesa di Santa Maria in Cese al Vescovo dei Marsi. Il Vescovo, in virtù di questa concessione, elesse in Cese la sua seconda dimora. Di lì in poi la chiesa cesense rivestì un ruolo primario nel panorama locale e regionale, e fu proprio attorno allo stesso monastero che si concentrarono molte vicende di rilievo dell'epoca, in particolar modo nel secolo (il XV) che accompagnò la vicenda umana del figlio più illustre di Cese, Pietro Marso.
Nel '600 e nel '700 il borgo palentino divenne luogo di ameno soggiorno estivo per i Signori Colonna, principi romani che furono devoti e benefattori di S.Maria delle Grazie, come si evince dagli stemmi, dalle armi gentilizie sull'organo e dal quadro dipinto nell'altare della Madonna del Rosario, dove Marcantonio Colonna fece rappresentare la vittoria di Lepanto. Come attestato da ricercatori come Mommsen, a quel tempo a Cese erano ancora conservate alcune epigrafi di alto valore storico.
Cese ha mantenuto un amministrazione con atti e delibere proprie fino all'entrata in vigore del Catasto Napoleonico nel 1816. Successivamente il paese venne accorpato ad Avezzano, e da allora il Comune di Cese, già Università autonoma, è diventato una frazione (la più antica) dell'altro comune.
L'evento che ha segnato in maniera irreversibile la storia del paese è il terremoto del 13 gennaio 1915. Alle 7.45 di quel giorno, infatti, a Cese perirono quasi 900 persone, di cui più di trecento all'interno della chiesa, dove si stava celebrando la messa mattutina. Altre persone furono colte nel sonno, dentro le abitazioni, o mentre erano nelle stalle a governare le bestie. Le case vennero rase quasi completamente al suolo; di esse, rimasero in piedi solo i muri del pianterreno, laddove questi resistettero alla violenza del sisma.
Dopo il terremoto, fu inevitabile l'abbattimento morale e psicologico dei superstiti, che, fra l'altro, avevano dovuto sopportare anche l'inclemenza dell'inverno, la fame, la miseria e tutte le difficoltà connesse alla calamità. Con il tempo, la fiducia e la voglia di ricominciare hanno fatto sì che la gente, seppur lentamente, riuscisse a riprendersi ed attivare la ricostruzione del paese. Proprio all'interno di questa ripresa hanno giocato un ruolo fondamentale le professioni rurali, prime fra tutte quelle legate all'agricoltura ed all'allevamento. Un'attività, in particolare, quella delle "lattarole", ha incarnato lo spirito dei Cesensi, pronti al sacrificio, al doloroso distacco dal paese nella fase di spopolamento della campagna, ma con lo sguardo teso alle nuove generazioni, che grazie a quei sacrifici ancora oggi danno lustro alle Cese.

I Segni della Storia Sopravvissuti al Tempo

L' evento sismico del 13 gennaio 1915 ha inesorabilmente segnato il volto del nostro paese, che ha perso praticamente tutte le ricchezze architettoniche ed artistiche del passato, prime fra tutte le antiche mura, i resti di un castello e la chiesa monumentale ritratta in foto. Alcuni segni della storia sono comunque riapparsi all'interno del borgo, mentre altri sono stati scolpiti da cento anni di vicende.

Cesensi Illustri del Passato

O ltre alle due figure principi del passato cesense, una menzione va fatta per due notai: Giovanni Paolo Tomei, vissuto nel XVII secolo, e Feliceantonio Cosimati, nato nel 1751. Quest’ultimo, già affermato professionista, in particolare redasse gli atti relativi al prosciugamento del lago del Fucino – completato dal principe A. Torlonia - e quelli inerenti l’assegnazione delle terre emerse nel momento in cui il principe, “sollecitato” dalle sommosse popolari, decise di attuare la tanto necessaria riforma agraria.

Tra i viri illustri del nostro passato meritano però particolare attenzione le figure di Fra' Bonaventura e Pietro Marso.

Fra Bonaventura

L a tradizione vuole che a Cese sia nato, intorno all’anno 1225, un fraticello divenuto poi compagno di San Francesco d’Assisi con il nome di "Fra Bonaventura". Tale nota è riportata in maniera piuttosto breve dal Febonio nella sua Historia Marsorum, ove si legge: “et religionis alterum Sacrarum Theologatu quaestionum dictatore, F.nempe Bonaventuram, quem sequentur duo Fratres Petrus et Paulus Marsus de Caesis”. Sappiamo con certezza che Febonio è in errore nel ritenere Pietro e Paolo Marso fratelli (il secondo non è infatti cesense, bensì pescinese), mentre sull’esistenza e sul luogo di origine del frate francescano non sembrano esistere valide testimonianze documentate.
Anche Di Pietro riporta la teoria del Febonio senza aggiungere dettagli: “Nel paese di Cese nacque pure Fra Bonaventura, compagno tanto amato da San Francesco”. Corsignani, infine, riprende quanto scritto dal Febonio in questi termini (tradotti nello studio di Giovanni Pagani) : “Egualmente faremo conoscere un maestro fra gli altri uomini illustri, che per le scienze e per le virtù non senza gloria partirono da questa prigione di vita. E qui poniamo pertanto Frate Bonaventura delle Cese (comunemente “da Cese”, che è un paese dei Marsi) il quale, essendo stato amantissimo compagno del Serafico Padre, è stato nominato dal Febonio, storico dei Marsi, verso la fine del libro I cap. XI”.
Certo è che la presenza, in Cese, di un importante monastero benedettino e della preziosa chiesa di Santa Maria delle Grazie aveva creato all’epoca un ambiente profondamente religioso, che favoriva frequenti vocazioni monastiche. Pur senza disporre di fonti documentali accertate, si può dunque presumere con ragionevole grado di confidenza che nello stesso paese sia nato a quel tempo un frate, caro a San Francesco, a cui la tradizione avrebbe dato il nome di "Fra Bonaventura".
[Tratto da "Luci di nostra gente: Avezzanesi illustri", di Giovanni Pagani]



Pietro Marso

P ietro Marso nacque a Cese in una data che deve collocarsi intorno al 30 Ottobre 1441, in base ad un obituario attestante come data di morte il 30 Dicembre 1511. Nell'epitaffio del Marso, voluto da suo nipote Ascanio ed anticamente conservato in San Lorenzo in Damaso a Roma, risulta infatti che visse esattamente 70 anni e due mesi.
Del luogo esatto di nascita ci dà notizia lo stesso Marso nella monumentale opera su Silio Italico, ove scrive: "Oppidolum quod Cesas appellant indigenae, meum natalem solum, quattuor milibus passum ad Alba distat, ad radices montis situm in quo dictamnum nascitur. Haec dixi ne ingratus erga patriam viderer meam, quam mihi nihil est iucundis, nil antiquius" ("Un piccolo villaggio che i locali chiamano Cese è il mio suolo natio; dista quattromila passi da Alba, alle radici del monte in cui nasce il dittamo. Dico ciò per non apparire ingrato verso la mia patria, poiché nulla mi è più caro, neppure le cose antiche"). In relazione al cognome del nostro Pietro, vi è la certezza che “Marso” non fosse che un enfatico riferimento all'antico popolo del territorio d'origine. Le ricerche più recenti fanno infatti risalire le vere generalità del Marso a Pietro Mei. Della sua fanciullezza e adolescenza si sa ben poco o quasi nulla; certo è che la sua formazione fu molto influenzata dall'ambiente fortemente religioso in Cese, dove mosse i primi passi.
Iniziato alla vita ecclesiastica, Pietro si trasferì a Roma in età piuttosto giovane, e lì entrò a far parte della celebre accademia umanistica sorta attorno alla figura di Pomponio Leto. Insieme agli altri sodales, nel 1468 dovette subire l'ingiusta accusa di empietà e cospirazione da parte del Papa Paolo II, con la conseguente incarcerazione in Castel Sant'Angelo. Riabilitato in breve tempo, riuscì ad entrare per le proprie doti nelle grazie delle maggiori personalità accademiche (Domizio Calderini e Giovanni Argiropulo) e delle più influenti famiglie romane, circostanza che gli aprì le porte dello Studium Urbis prima e dell'Università di Bologna poi.
Dopo una breve esperienza mantovana presso i signori Gonzaga, Pietro fece ritorno a Roma per riprendere l'insegnamento alla "Sapienza", incarico che manterrà fino alla morte con uno dei compensi più alti registrati nello Studio cittadino. Contemporaneamente all'attività filologica e professorale, sviluppò consistentemente l'arte oratoria, fino ad entrare nel novero dei maggiori oratori del tempo. Celebri sono rimasti nel tempo i discorsi e le omelie da lui pronunciate in San Pietro, nella Cappella Sistina, a Santa Maria Maggiore e in San Lorenzo in Damaso, chiesa di cui fu nominato canonico e poi vicario del Cardinale Raffaele Riario attorno al 1500.
Accanto agli incarichi universitari ed ecclesiastici curò per tutta la vita il profondo culto dei classici, lasciando opere di grande valore letterario; tra tutte, i Commentari di Cicerone e gli studi sulle Commedie di Terenzio e sulle Punica di Silio Italico. Non è un caso che Marso sia tra gli umanisti citati da Erasmo da Rotterdam, il massimo umanista europeo che ebbe occasione di incontrare a Roma nel 1509.

[Tratto da "Pietro Marso Cesensis", di Roberto Cipollone]



Fonti bibliografiche sulla storia di Cese


  • Ferdinando Bologna, La Madonna di Cese e il problema degli esordi di Andrea De Litio - L'Aquila 1987.
  • Italo Cipollone, Genealogia di Cese dal 1700 al 1900, Centro Stampa - Roma 2007.
  • Osvaldo Cipollone, Angeli co’ jji quajji, Centro Stampa - Roma 1997.
  • Osvaldo Cipollone, Dizionario del dialetto cesense. Vocaboli, proverbi e detti popolari con fondamenti di grammatica e fonetica, Centro Stampa - Roma 2006.
  • Osvaldo Cipollone, Don Vittorio, abate di Cese, Centro Stampa - Roma 2004.
  • Osvaldo Cipollone, Le Cese. Immagini di ieri, 1991.
  • Osvaldo Cipollone, Le nozze di canapa, Mondo Stampa - Roma 2016.
  • Osvaldo Cipollone, Orme di un borgo (gente, fatti e storia cesense), Centro Stampa - Roma 2002.
  • Osvaldo Cipollone, Un’eco di note e di passi da un villaggio della Marsica, Centro Stampa - Roma 2010.
  • Osvaldo e Roberto Cipollone, 13 gennaio 1915. Una cicatrice lunga un secolo, Mondo Stampa - Roma 2015.
  • Roberto Cipollone, Pietro Marso Cesensis, Mondo Stampa - Roma 2012.
  • Roberto Cipollone, Trentanove figli. Ricerca documentale sui Caduti di Cese, Mondo Stampa - Roma 2014.
  • Luigi Colantoni, L'Acropoli di Pescina Vecchia, il poeta improvisatore della rinascenza Paolo Dei Marsi di Pescina e il filosofo Pietro Marso di Cese, Rivista abruzzese di scienze lettere e arti Pt. 26, 1911.
  • Mario Di Domenico, Cese sui piani palentini, De Cristofaro editore - Roma 1993.
  • Giovanni Pagani, Luci di nostra gente: Avezzanesi illustri, Tip. La Moderna - Sulmona 1978.
  • Osvaldo e Roberto Cipollone, "Padroni di niente - Testimonianze e vicende marsicane al tempo dell'occupazione tedesca", Pro Loco Cese 2019